A quella data Nicola risulta decisamente attardato su una cultura provinciale. Nell'affresco con la progenitrice la definizione dell'ambiente, idealizzato da una cortina merlata con sequenza di mensole e beccatelli, ci riporta addirittura a ricordi del "Maestro delle tempere francescane", che dovette lasciare in Basilicata più di un segno oltre il trittico di Colobraro (6). Nel Cristo in Pietà l'iconografia ha precedenti in Roberto di Oderisi e in Giovanni da Gaeta, per rimanere nell'ambito del reame, e la sequenza delle mensole poste a cornice ricorda soluzioni arcaiche di tipo cavalliniano. Stessa cultura rétro è nel trono gotico della Vergine, nell'edicola del San Bernardino e negli archi a schiena d'asino che includono la Santa Caterina e il Sant'Antonio dell'intradosso.
È pur vero che la committenza era orientata a convinzioni e gusto tradizionali, sicché nella stessa chiesa di San Francesco si avrà, nel 1522, il fastoso polittico di Simone da Firenze, con profusione di fondi oro ed una fiammante carpenteria di smaccato timbro gotico fiorito. Ma è anche vero che già nel 1503 era giunto a Calciano uno splendido trittico rinascimentale firmato da Bartolomeo da Pistoia che purtroppo non ebbe eco nell'ambiente lucano.
È stato già detto che Nicola esprime una schietta adesione al gotico internazionale con riferimento ai circuiti della Napoli aragonese e rimandi a Giovanni da Gaeta, come a dire ad una congiuntura iberico-fiammingo-marchigiana che fioriva nella capitale ma soprattutto nell'entroterra ai confini con la Basilicata. Raffronti ravvicinati lo legano al "Maestro di Teggiano" (1487), ma soprattutto al "Maestro di Miglionico", che opera appunto a Miglionico (circa 1465) e ancora più a Matera (in Santa Maria de Idris, in San Pietro Caveoso, nella chiesa rupestre della Madonna delle tre porte) (7) . E non può escludersi, inoltre, per lui un'educazione o un esercizio miniatorio, rinvenibile nell'uso calligrafico della linea sottile a capello, ora scritta ora lumeggiata di bianco, che lo caratterizza a Senise.
Ma l'affrescatura dei pilastri della chiesa di San Donato a Ripacandida denuncia un momento successivo dell'attività di Nicola da Novasiri, con una data che impegna l'inizio del
terzo decennio del secolo XVI. Vi si avvertono, infatti, ulteriori recuperi dalla capitale, filtrati da conoscenze dell'opera di Andrea d'Asti, alias "Maestro dei Penna", e in special modo dal polittico dell'oratorio dei Santi Filippo e Giacomo, dove, tra l'altro, si ritrova nel Precursore quel particolare già notato del lembo del mantello trattenuto sotto il piede destro. Individuare l'autore del ciclo cristologico, intervenuto a coprire vele e pareti della prima campata, non è stato agevole perché è discontinuo e spesso presenta cadute di qualità determinate dalla collaborazione di aiuti modesti. |
Questi, a nostro parere, è quell'Antonello Palumbo di Chiaromonte sul Sinni il cui nome è apparso solo di recente e casualmente in margine ad un affresco che in San Francesco a Pietrapertosa è rimasto nascosto, sin dal 1628, dalla tela con l'Immacolata di Francesco Guma.